L'uomo
si alzò, era mattino presto e si poteva dormire un poco ma lui era
già sveglio, tra le lenzuola madide per i suoi sogni senza sonno ,
la luce filtrava invadente nella sua camera da letto disordinata e
caotica, piena di libri e d'abbandono, frammenti di sapere , sabbia e
oblio, da anni.
Vagabondando
tra sedie polverose di fondi rinsecchiti di caffè ed instabili
scaffali di cultura traballante e stantia si trascinò nel grande
specchio brunito e guardò il suo volto, come tutti i giorni.
Vide
una faccia stanca ,tumefatta da incubi e timori , dolorosamente
segnata da profonde ferite, cicatrici nell'anima e nel corpo, lebbra
antica che non andava via, anche a bestemmiare un Dio lontano,
distratto dalle cose di una Umanità crudele , morto ai vivi.
No,
non andava via, nel nerofumo appannato in controluce vedeva le
stigmate di una vita in pena perenne ,cercava di lenire gli sfregi
orrendi con unguenti meravigliosi comprati a caro prezzo da tutte le
parti del Creato , dall'Africa misteriosa alla vergine Oceania, terra
di confine , arcana e segreta.
S'era
svenato per possedere le piccole, preziose fiale luminescenti , per
umettare piano i segni del suo peccato, per pagare il fio ed essere
pulito , dormire felice come un bimbo, senza colpa e malizia.
Ma
c'erano ancora le impronte della sue sconfitte, fisiche, del suo
corpo martoriato , e spirituali, il senso d'inutilità lo scavava in
fondo all'anima ferita, e vagava spettrale nella stanza, si agguatava
vicino alle pesanti tende damascate e spiava il mondo fuori, case,
gente, vita, e lui forestiero, impuro.
A
volte, di sera, quando la sua fame di vivere era insopportabile,
prendeva un nero mantello ed usciva, come una droga sniffava il
Mondo, gli odori di pioggia e d' alcova, di caldo e d'amore, gli
bastava così, povero ladro d' istanti che non era altro.
Poi,
scattaiolava via, malediva il Fato o il Destino su per le sale
tristi , buie del suo palazzo dorato , malato.
Ogni
giorno si avvicinava allo specchio, guardava il suo volto deformato e
da bimbo obbediente ungeva le ferite con magiche creme, docile e
testardo, scrutava le sue offese sulla pelle sperando in un miracolo,
illuso, o disperato.
Una
mattina l'uomo stava vagando nella camera sfatta , distratto guardò
lo specchio e si fermò di botto, riguardò il simulacro che era il
suo volto e si sentì mancare: le piaghe svanivano piano, le lesioni
orrende non c'erano più, lo specchio ora rifletteva soltanto il suo
viso, immune di ogni sventura.
S'era
compiuto il prodigio, se divino o profano non è dato sapere, ma la
lebbra era sparita, nello specchio vedeva solo il suo viso giovane,
redento dal contagio e dalle sue paure.
Pazzo
dalla felicità in un baleno corse in strada, al sole accecante, per
lui bellissimo, adesso poteva guardare senza timore i bambini che
giocavano, i panni stesi sui balconi, le donne che parlavano piano,
tutto era bellezza e dono, adesso poteva non nascondersi più, e
sorridere senza vergogna.
Vedeva
il Bene ma scoprì il Male, lui che prima non sapeva, guardò nei
suoi occhi il dolore innocente, la povertà vera, la fatica a vivere,
a sopravvivere ai margini del Nulla.
Barcollò
sgomento e vide il suo volto rispecchiarsi nello specchio di un
negozio , vide la sua pelle increparsi di piaghe, il flagello
ritornava. Doveva subito ritornare a casa, sbarrare le porte , non
vedere , non sentire e essere salvo, e loro dannati.
Essere
salvo, perchè? Salvo e non sapere il profumo di un sorriso, una mano
amica , il sapore di speranza, di salvezza. Salvo? No, schiavo , per
sempre.
E
ritornò indietro, si arrese alla Vita.
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